La scelta della cantina e del vino perfetto per la mia tesi del Corso di Sommellerie all’Alma (Scuola di Cucina Italiana) è stata un’ ardua impresa. Durante il mio stage presso le Calandre approfittavo dei due giorni liberi a disposizione per visitare le cantine dei Colli Euganei che più mi avevano incuriosito. Ho seguito consigli dei sommelier, ho studiato per filo e per segno i siti internet, la cantina del ristorante, ho chiesto pareri ed assaggiato qualche vino. Ma anche per il vino esiste il colpo di fulmine e di una cantina in particolare rimango colpita: Vignale di Cecilia.
Arrivo in un caldo pomeriggio di gennaio, Paolo Brunello, il titolare dell’azienda vitivinicola, mi accoglie con un sorriso ed apre subito le porte della cantina. Mi spiega i passaggi dell’uva, le vinificazioni e la macerazione che avviene per quasi tutti i suoi vini in cemento perché
ho una teoria per cui con climi freddi e tannini ruvidi, la barrique fa miracoli, mentre in climi caldi il frutto è già evoluto e nel cemento i miei vini mantengono l’erbacità, la nota croccante.
Di una cosa poi rimango piacevolmente stupita: la cantina è scavata nella roccia, di fianco alle botti si intaglia, si vede e si respira il terreno. Dopo aver visitato la cantina ci ospita nel suo ‘spazio degustazioni’, un’ampia sala con vista sulle vigne dove lui accoglie i suoi ospiti. È stato un lungo pomeriggio di racconti dove lui rispondeva carismatico alle mie domande e curiosità.
C: Mi racconti la storia della sua cantina.
P: Intorno agli anni ’60 mio nonno decise di vendere una piccola trattoria che aveva gestito per anni nel paese di Baone per trasferirsi in campagna. Comprò 4 ettari sul Monte Cecilia dove vi allevò bovini e dal 1966 si dedicò quindi alla vita da contadino. Solo nel 1997 piantammo delle barbatelle e fu nell’anno seguente che presi in mano la gestione del terreno. Solo nel 2000 iniziai ad imbottigliare il vino e a metterlo sul mercato. Nel frattempo però, fino al 2006 continuai a lavorare portando avanti una delle mie grandi passioni: il violoncello.
(Mi confessa fiero e quasi nostalgico del suo passato da musicista, passione che peraltro mantiene organizzando serate nello spazio adibito alle degustazioni nella sua cantina. Vino e musica, quale abbinamento non può essere così perfetto?) Arriviamo al 2007 quando a tempo pieno decido di dedicarmi alle vigne, ampliando la cantina ed acquistando altri ettari. In totale ora ne gestisco 10.
C: Ho visto che pratica una viticoltura biologica, quali trattamenti utilizza sulle viti?
P: Dal 2005/06 ho deciso di eliminare i diserbi, trattamenti fitosanitari, concimi chimici per utilizzare solo zolfo, rame e del letame. Anche in cantina non utilizzo lieviti ma lascio che sia il vino a farlo. Per aiutarmi preparo la pied de cuve, piede di fermentazione per cui vendemmio un quintale di uva una settimana prima per dare inizio alla fermentazione ed aggiungendolo poi al resto dell’uva facilito il processo. Ho ricevuto la certificazione nel 2009 dopo 3 anni di conversione. Con tutta sincerità però credo di de-certificarmi, il fatto di dover pagare per avere una certificazione, perché seguo semplicemente dei principi di viticoltura al naturale mi sembra riduttivo. Chi conosce i miei prodotti sa come vengono fatti e la cura che ci metto 365 giorni all’anno. Io credo molto nell’artigianalità. Chi fa l’agricoltore svolge un ruolo assolutamente importante a livello sociale, noi siamo i custodi del territorio. Il mio lavoro è far l’agricoltore e fare i vini.
C: Perché ha scelto una viticoltura biologica?
P: Beh perché d’estate fa caldo quindi facendo dei trattamenti naturali posso restare in maglietta e pantaloncini, altrimenti dovrei indossare una tuta coprente (tutti scoppiamo in una grande risata, ma sappiamo che Paolo non ha tutti i torti!). Scherzi a parte, ho notato che le fermentazioni vengono bene quando le uve sono sane ed hanno il loro corredo di elementi indigeni, dovuti al terroir, alla fauna, all’ambiente che le circonda. Con l’utilizzo di fitofarmaci invece noi non conosciamo la molecola che interagisce con il vino. Rischiamo così di non avere dei vini identitari.
C: Mi parli del terroir. Dove crescono le sue vigne?
P: La valle dove ci troviamo noi ora è conca e rivolta a sud, i terreni sono calcarei nelle zone più alte mentre più in basso sono prettamente argillosi. Diciamo che il terreno dei Colli Euganei è costituito da diverse stratificazioni. Il punto più alto è costituito da rocce vulcaniche, trachite, latite, che donano al vino eleganza e sottigliezza. In una seconda stratificazione traviamo le marne, tufo e calcare grigiastro. Poi troviamo il calcare, cioè che era il fondo marino, che genera vini concentrati, potenti, austeri. Infine l’argilla, terreno alluvionale-calcareo dedita ai vini rossi.
C: Mentre per quanto riguarda il territorio, il clima…
P: Diciamo che il territorio è particolare ed insolito perché le piante che lo caratterizzano sono tipiche della macchia mediterranea. Anche il clima per quel motivo è caldo d’estate e mite d’inverno, il sole su questo versante splende tutto il giorno. Ci troviamo a sud quindi è protetto dal vento freddo.
C: Come vede il futuro del vino?
P: Ora credo che il mercato del vino si approcci a vini meno muscolosi, più leggeri, bevibili. In passato il vino si è dovuto adattare a quella fascia di persone che non beveva vino, quindi divenne più dolce, vanigliato. Ora si vuole tornare quasi alla semplicità.
Dopo una chiaccherata passiamo finalmente ad assaggiare qualche vino. Oltre al vino scelto Paolo mi fa assaggiare altri suoi prodotti ed iniziamo con il Val di Spin, con garganega, prosecco e pinella, viene rifermentato con il mosto. Bollicina non troppo aggressiva e quasi una tendenza amarognola finale. Ha una fascia di mercato che comprende perlopiù l’America. Proviamo il Benavides del 2012, con moscato e garganega. Subito dal profumo mi chiedo come mai non mi ricordi un vero e proprio moscato e una spiegazione c’è. L’uva del Moscato viene vendemmiata prima rendendo il vino più verticale, sapido e tiene nervo, ed unito alla garganega dona quella sapidità che si percepisce al finale. Prima di provare un vino rosso, Paolo ci affetta una delle sue pancette che fa con qualche amico. Deliziosa e con il Còvolo 2013, un rosso di Merlot e Cabernet Franc ancora meglio. Gusto erbaceo, un po’ affumicato e dal tannino docile.
Prima di andarmene chiedo se ha una perla di saggezza sul vino. E così dice
Il riscontro che ho su i miei vini lo capisco dalla bottiglia. Una bottiglia vuota sul tavolo vale più di qualsiasi premio, perché vuol dire che è piaciuta.
Saluto Paolo e lo ringrazio per la grande disponibilità e con la promessa di una copia della mia tesi. E per concludere in bellezza volevo avere anche una nostra foto ricordo.
Per informazioni: www.vignaledicecilia.it